…anche noi FMA impegnate a Porta Palazzo abbiamo “sussurrato” qualcosa sulla nostra presenza, interpellate ad intervenire da parte dei coordinatori.
Il Convegno si è tenuto sabato 29 marzo scorso, nel salone di s. Rita: poco meno di duecento persone vi hanno partecipato
Sia nel mattino che nel pomeriggio è stato possibile ascoltare le voci delle donne nella Chiesa, quelle delle relatrici (S. Morra, I. Zuanazzi, C. Mazzucco, M. Baldacci) ma anche quelle che esse hanno rappresentato, al presente e al passato. Testimonianze e domande hanno concluso le due sessioni al mattino e alla sera, e proprio nell’ambito delle testimonianze, la nostra piccola voce.
Ma ci piace riportare qui un’intervista fatta alla teologa Stella Morra, che abbiamo conosciuto in questa occasione e che vorremmo molti conoscessero, per l’intensità e la lucidità della sua visione.
Il Convegno si è posto, per noi, FMA di Porta Palazzo, come un tassello fra le tante testimonianze della Quaresima di Fraternità che ci sta impegnando ogni fine settimana, ed è stata, ancora una volta, una splendida occasione di rete!
Intervista a Stella Morra
“Le voci delle donne nella Chiesa” è una parte del titolo del convegno organizzato da chiccodisenape nel quale interverrà il 29 marzo. Secondo lei quali sono le parole più urgenti che le donne “devono” dire?
Mi sembra che la questione così non sia posta bene: il problema non è “cosa” le donne devono dire, ma “che” devono essere ascoltate, avere una voce che sia rilevante. Le donne possono dire cose giuste e belle o cose sciocche, come tutti gli altri esseri umani… il problema è se le loro voci non contano e non sono ascoltate per il solo fatto di essere donne e non nella valutazione di ciò che dicono. Questo mi pare il punto di partenza necessario. Ovviamente poi abbiamo delle cose da dire (l’ultimo libro curato dal Coordinamento delle Teologhe Italiane, di rilettura del Concilio Vaticano II, edito dalle Paoline si intitola appunto Avendo qualcosa da dire!). E su questo le donne sono plurali, come tutti, positivamente plurali: attente a tante cose diverse, a seconda delle dimensioni della loro e dell’altrui vita. Io faccio la teologa e vedo la grande urgenza di ritrovare una voce nelle chiese e per le chiese, per dire di chiese che siano sempre più luoghi inclusivi, dove non solo l’essere uomo o donna non segni esclusione, ma neppure l’essere ricco o povero, colto o semplice, bambino, anziano e così via. La storia delle donne nelle chiese è una richiesta di inclusività… E, ovviamente, mi sembra che l’altra grande parola sia un desiderio di cattolicità, nel senso etimologico: guardare più lontano, a tutte e a tutti, non solo al nostro piccolo ambito: in questo, ad esempio, le donne delle diverse parti del mondo non sono tutte nella stessa condizione e ciò che qui si chiama “crisi” ad esempio è ben lontano da ciò che segna la vita quotidiana delle donne dei paesi poveri; la cattolicità relativizza e aiuta a mantenere misura, rende solidali e partecipi, disegna traiettorie comuni.
Lei è la vice-presidente del Coordinamento Teologhe Italiane (www.teologhe.org). Perché è stata creata un’associazione di teologhe donne? Quali sono gli obiettivi dell’associazione?
La storia del Coordinamento ha ormai più di dieci anni: non molto, ma insieme già un tratto significativo di strada.
L’idea è semplice: in un mondo come quello della teologia, che è stato storicamente nel mondo cattolico un mondo tutto al maschile e identificato con il ministero presbiterale, la presenza di donne, suore e laiche, che dopo il Concilio hanno intrapreso studi teologici e ritrovato parole autorevoli di riflessione critica sulla fede e sulle Scritture è stata uno dei frutti conciliari, uno degli esempi di restituzione di parola (e Parola, di Dio!) a tutto il popolo di Dio. Questa presenza sempre più numerosa e significativa ha spinto alcune di noi a cercare un coordinamento, appunto, che offrisse anche una figura pubblica, riconoscibile. È anche un luogo di incontro delle nostre stesse diversità (ci sono teologhe di tutte le specializzazioni, non solo cattoliche, di diversi livelli di compromissione professionale, di diverse età); in particolare, è luogo di confronto della diversità di impostazioni teoriche e pratiche quanto alla questione. Cerchiamo dunque di avere dei momenti di confronto (seminari e convegni), ma anche di essere presenti come “un soggetto”, essendo presenti ad esempio come associazione nel Coordinamento delle Associazioni Teologiche Italiane e di favorire il lavoro delle più giovani, ad esempio attraverso la pubblicazione dei loro lavori nella collana di libri che pubblichiamo presso l’Editrice Effatà; ma, forse la questione maggiore è cercare di favorire una “crescita condivisa di mentalità diffusa”: spesso pregiudizi e difficoltà non nascono da questioni teoriche, ma da pratiche diffuse e si esasperano poi in momenti critici, amplificati dai media. La questione ci pare invece favorire il dialogo con tutti in tempi “normali”, con pacatezza e semplicità, migliorando tutti
insieme la nostra sensibilità e le nostre pratiche inclusive e di attenzione a chi è più marginale.
Ha senso parlare di “teologia delle donne”?
I genitivi (“delle”) hanno sempre l’ambiguità di non specificare se si tratta di un oggettivo (teologia che ha per oggetto/tema le donne) o di un soggettivo (teologia che è fatta dalle donne). Normalmente io preferisco parlare almeno di teologia “dalla e delle” donne… Non siamo un “tema”! Siamo dei soggetti che nella loro parzialità fanno la teologia di tutti, quella che cerca di servire le chiese e le vite credenti con un sapere che è una parte dell’esperienza della fede. Vogliamo riflettere sui temi su cui tutti i teologi riflettono senza rendere neutrale il nostro approccio, ma consapevoli di rappresentare una parte del mondo e dell’umanità. Come spesso nella storia dell’Occidente è capitato, c’è la tendenza a dare per scontato che la teologia, ad esempio, senza aggettivi, quasi assoluta, sia quella che è stata fatta fino a qui, che, di fatto, è stata una teologia fatta da maschi, cioè solo di una parte del mondo. Sarebbe il tempo credo di chiedersi se c’è e come è una “teologia dai e dei maschi”… La teologia che può servire a tutto il popolo di Dio sarà solo una teologia da e di tutti, una teologia autoconsapevole della propria parzialità e della necessità di essere integrata in un insieme più ampio e complesso.
La parola “femminismo” fa ancora paura nella Chiesa. Ci dà degli spunti per guardare a questo movimento con minore diffidenza? La parola “femminismo” più che paura genera oggi una certa svalutazione e lettura negativa, come di una esperienza un po’ isterica e rivendicativa (anche da parte di alcune delle donne più giovani). Oggi fa più paura e
problema l’uso della parola “genere” identificata con una sorta di mostruoso complotto che mirerebbe a minare le fondamenta stesse delle società occidentali… La prima questione mi sembra dunque quella di ricondurre le categorie storiche (come femminismo) o concettuali (come genere) alla loro funzione di strumenti di interpretazione e di studio che vanno valutati nella loro utilità. Ad esempio, io sono grata a quelle e quelli che nelle lotte femministe hanno conquistato per noi ad esempio la parità nel diritto di famiglia e la tutela della parte più debole in caso di conflitto famigliare: mi sembra davvero importante e civile! Sono grata a chi ci ha aiutato a smascherare pregiudizi e immagini stereotipate (e forse un po’ di femminismo in questo sarebbe ancora utile circa l’immagine del corpo delle donne e il suo uso che oggi se ne fa…). E se oggi molte rivendicazioni di base sono conquistate lo dobbiamo al femminismo… Ma, ad esempio, io oggi non uso più quell’approccio, che non mi sembra più adatto a interpretare le dinamiche a cui oggi assistiamo: la crescente violenza contro le donne, specie in famiglia e nella non sopportazione della fine di rapporti amorosi, come può oggi essere contrastata? Credo soprattutto attraverso una consapevole presa di coscienza da parte dei maschi, che rischiano di trovarsi incerti e indeboliti proprio di fronte alla “crescita” sociale delle donne e della loro autonomia e, in casi limite, dunque di reagire con una violenza inaccettabile. E da questo punto di vista mi sembra più utile la categoria di genere che riguarda uomini e donne, non solo le donne, e consente di lavorare sulla loro reciproca comprensione. Ovviamente si tratta qui solo di un esempio e molto semplificato, ma mi pare indicare la direzione da percorrere.
Ci sono differenza tra la situazione delle donne nella Chiesa in Italia e in altri Paesi del mondo? Quali sono le principali differenze culturali?
Le differenze ci sono, eccome! E, appunto, dipendono per lo più dalle differenze culturali, dal ruolo e dal modo in cui le donne stanno in quei paesi nelle diverse realtà sociali. Negli Stati Uniti, ad esempio, le donne hanno pragmaticamente raggiunto ruoli e compiti di decisione e responsabilità molto più diffusa, a causa di una maggiore pratica di tutela concreta delle minoranze; dunque anche nella chiesa è più normale che svolgano ruoli più rilevanti. Ma, contemporaneamente, esiste una minore riflessione teorica e queste conquiste spesso non riguardano gli ambienti dei ladinos e degli immigrati recenti, ma piuttosto le donne cattoliche che provengono da una antica immigrazione irlandese o italiana… La differenza lì rischia di essere ancora più forte tra ricchi e poveri, istruiti o non istruiti…. Nei paesi più poveri poi, in Asia o in Africa, è sulle donne che normalmente pesa il dramma maggiore della cura della famiglia e della sopravvivenza fisica. Le donne credenti hanno in questi paesi un ruolo fondamentale di sostegno, incoraggiamento e solidarietà, ma spesso non hanno rappresentazione visibile nelle istituzioni ecclesiali, pur svolgendo un lavoro incredibile, più concentrato nelle pratiche… E ancora l’Europa del Nord è davvero molto diversa dall’Europa del Sud in proposito, ma non sono certa che il modello, ad esempio, di teologhe accademiche del Nord Europa sia il più utile per tutti… Si potrebbe continuare, perché la storia e la realtà delle donne è varia e plurale come quelle dei luoghi e delle culture dove vivono.
Secondo la sua opinione, quali sono i nodi decisivi che questo pontificato dovrà affrontare su queste tematiche?
Abbiamo tutti e tutte attese circa questo pontificato, come se ci attendessimo che le decisioni prese dall’alto possano cambiare tutto, e ovviamente ognuno ha la sua ricetta! Ma la questione non è così semplice, ahimè… chi ha ruoli di responsabilità e di decisione nella chiesa, come il Papa, deve ovviamente creare certe condizioni di possibilità (ad esempio: ascolto reciproco e clima di “non esclusione”, condizioni di ospitalità delle differenze, ecc.) e deve farlo in modo strutturale e non solo spirituale (ad esempio creando realtà effettive di collegialità) e anche spezzando gabbie simboliche. Ma questo da solo non basta: devono esserci poi chiese concrete, persone, storie che abitano creativamente e intelligentemente, con libertà questi spazi e mostrano così, nelle vite reali delle chiese, vie e modelli possibili. Solo per citare un esempio: quante esperienze di gestione pastorale di comunità da parte di donne esistono già nel mondo? Innumerevoli… Come possono essere riconosciuti, esaminati anche criticamente e diventare modelli noti e diffusi di “autorità” pastorali, accanto e insieme ad altri? Ecco, forse potrebbe essere questo, ancora una vota: ascoltare l’esistente e dargli forma e autorevolezza. Ma
perché questo accada bisogna che queste esperienza ci siano!
Parafrasando il famoso romanzo, potremmo dire “L’Italia non è un paese per donne”.
Mancano norme di accesso equo alla politica, le uccisioni e le violenze sono all’ordine del giorno, i media e i testi scolastici sono pieni di stereotipi sessisti.
Quali sono le vie da percorrere per respingere questo tipo di cultura? Quali sono le azioni più urgenti?
Non sono in grado di rispondere a questa domanda con la serietà che richiederebbe: occorrerebbe una competenza del politico che non ho. Ma posso dire a quale livello sto dando il mio contributo: io lavoro soprattutto a livello educativo, insegno, e in ogni mio insegnamento (specie quando NON parlo di donne!) tengo presente che i giovani che ho davanti saranno preti e che vanno aiutati a mettere a tema alcune delle questioni su cui non sono preparati rispetto alle donne, vanno aiutati a spezzare stereotipi sessisti e a ritrovare un’attenzione che spesso non hanno… In anni precedenti ho partecipato più attivamente ad azioni sociali e politiche intorno alle battaglie delle donne, forse ci saranno anni futuri di un mio impegno più diretto; questi sono anni per me di impegno a livello di cambiamenti culturali e educativi. La vera urgenza è non dimenticare né sottovalutare la questione: costruire realtà inclusive richiede il contributo di tutti, su molti piani e su tempi lunghi…
Le donne sono spesse le più dimenticate nei libri di storia. Ci indica i nomi di tre donne da ricordare?
Posso solo dire tre nomi che mi sono cari nella lunga stirpe delle donne e che mi accompagnano da molti anni come amiche e sorelle. La prima: Etty Hillesum, la giovane donna ebrea che ha abitato il duro tempo dei campi di sterminio continuando a guardare un fiore, ostinato nella sua bellezza, fuori dalla finestra e ha spezzato la sua vita con tutti; il suo Diario mi insegna che non ci sono condizioni oggettive, per quanto dure, che impediscano comunque almeno uno spazio minimo di responsabilità e bellezza. La seconda, ed è un nome collettivo e in un certo senso anonimo: le badanti. Nello stereotipo del “lavoro di cura” che sarebbe proprio delle donne, queste donne lasciano la cura delle loro famiglie (quanti figli e anziani lasciati a casa…) per occuparsi dei nostri figli e dei nostri anziani, di noi donne che abbiamo scelto (perché lo possiamo ed è giusto!) lavoro professionale e vite più complesse… Un paradosso e insieme una solidarietà, un appello
visibile a ricordare che una libertà costa un prezzo e che il dovere di giustizia (giusto salario, termini corretti di contratto e
così via…) verso queste donne è un dovere doppio. La terza: Teresa di Avila, mistica, dottore della chiesa, riformatrice di ordini e grande donna di governo… Faccio la teologa, come potrei dimenticarla?
Inviato da sr Paola Pignatelli